I RICORDI DELLA NONNA

Tutti i lavori presentati in queste pagine, sono stati eseguiti personalmente. Ho preso spunto da diverse riviste, da altri siti o blog, per cui, chiunque vantasse dei diritti, può contattarmi, potrò così nominarlo nel mio blog. Grazie!

Benvenuti

venerdì 19 aprile 2013

Un giorno...



Questa volta non vi propongo un lavoro manuale. Per questo tipo di lavoro non occorrono aghi, fili o lane, non servono ferri, uncinetti o navette, nè tombolo o forcelle e nemmeno puncetti o telai. Questo lavoro è fatto con la testa e il cuore, con sensibilità ma soprattutto con amore.
Vorrei condividere con le amiche di questo blog dei brevi racconti scritti da Alessandra e Laura, due splendide donne che, nel poco tempo libero a loro disposizione, collaborano con ottimi risultati alla stesura della rivista online Il cappello volante che vi assicuro è tutta da gustare. Qui troverete la pagina Facebook di riferimento.
Il primo racconto è diviso in cinque periodi, ogni riferimento a fatti, persone e luoghi esistenti è puramente voluto!
Il secondo è una storia vera, una storia che arriva dritta al cuore.
E il terzo ... il terzo è di una dolcezza infinita!



Un giorno... di Alessandra Romano

Infilò la chiave nella serratura della portiera e si girò verso destra.
Non era un gesto abitudinario.
Certo, lo faceva ogni mattina, lo faceva però con consapevolezza. Si girava per cercarla.
E la trovò.
Come ogni mattina quando scendeva a quell'ora.
Oggi aveva un velo di grigio a cui il rosa dava maggiore significato.
La guardò con la mente pulita e si riempì gli occhi di tutta quella bellezza.
Poi fece un gesto, quello sì abitudinario. Si portò le mani davanti al viso e inquadrò tra le dita quella che sarebbe potuta essere un'altra bella foto.
Sulla strada principale passò il primo autobus della giornata e gli sciupò l'inquadratura.
Sorrise e piegò la testa un po' di lato, mentre lasciava cadere le mani.
Nel sorriso, però, gli arrivò in mente lei.
Aprì la macchina, si sedette, prese il cellulare e la chiamò. Certo era presto...ma lei avrebbe capito che quell'alba andava condivisa.

… … …

Teneva le mani strette intorno alla tazza da te. Il calore che avvertì le fece scendere un brivido lungo la schiena. Aveva passato tutta la notte in piedi per finire quella traduzione.
Con le dita della mano destra cercò di afferrare il vapore che saliva dalla tazza.
Guardò quello che era riuscita a prendere.
"Niente, disse, non rimane niente...." e sorrise.
Si alzò dalla sedia e si stirò alzando le braccia verso il cielo. Sorrise ancora...
"Lo so, mamma, lo so...non è elegante....ma fa tanto bene a me..." rispose ad un rimprovero solo immaginato.
Si avvicinò alla finestra le cui imposte non venivano mai chiuse e appoggiò la fronte sul vetro freddo. Il suo alito disegnò un cerchio e lei ci tracciò dentro una piccola A...
Sorrise ancora e iniziò a sussurrare una canzone....

"Close my eyes ...She’s somehow closer now...Softly smile,.... I know she must be kind ...When I look in her eyes ......She goes with me to a blossom world"

Passò un autobus in strada...e lei pensò a quello che avrebbe preso di lì a qualche ora..
Sorrise e si staccò dalla finestra...un'altra stiratina, allungando le braccia in su, su fin dove poteva, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare ancora più su.

"I’m pickin up good vibrations.....
Gotta keep those lovin good vibrations.... "

... ... ...

In un angolo di cielo un velo di grigio si tingeva di rosa.
 Il rumore dell'autobus le fece alzare gli occhi dal lavoro che aveva in mano. Stava albeggiando.
Dal suo negozio, chiuso in una strada larga poco più di 5 metri, con un gran brutto palazzo di fronte, albe da mozzare il fiato non ne vedeva.
Ogni tanto le capitava di dover lavorare tutta la notte per stare nei tempi della consegna. E così entrava nel nuovo giorno senza essere passata sotto la luce di quello che già c'era stato.
Non ci pensò nemmeno ad avvicinarsi ai vetri, non ne aveva il tempo.
La nuova luce cresceva pian piano. Pioveva da un cielo che non c'era e le cose, semplicemente, si riprendevano i colori che la notte aveva rubato loro.
Guardò il lavoro che aveva fatto durante tutta la notte.
Le scatole allineate, con i loro fiocchetti, promettevano felicità.
Sospirò e s'impose di non pensare.
Diede un ultimo sguardo alla luce che cresceva.
La guardò lamentandosi che avanzasse così rapidamente.
"Troppo poco tempo e così tanto lavoro da fare ancora"...
Non seppe mai che, nel frattempo, una pennellata rosa regalava significato persino ad un velo di grigio.

… … …

Si rigirava nel letto e cercava di cogliere i rumori provenienti dalla strada.
"Se passa l'autobus, vuol dire che la notte è passata e sarà l'alba".
Trattenne il respiro come se quella lieve vibrazione potesse impedirle di cogliere il rumore del motore nel silenzio assoluto che c'era.
"1...2...- contò in mente, accompagnandosi, con le dita - ...quando arrivo a 5 l'autobus passa"- pensò, con la determinazione che si era sentita crescere dentro durante tutta la notte.
Se passava l'autobus, la notte era finita, l'alba era spuntata e lei avrebbe potuto svegliare l'uomo che le dormiva accanto.
 E avrebbe potuto dirglielo.
Glielo avrebbe detto che lei, quel figlio che le cresceva dentro, se lo sarebbe tenuto e che all'appuntamento in ospedale non ci sarebbe andata.
"Quando passa l'autobus, l'alba è ormai sorta e lui non potrà rimproverarmi che lo sveglio in piena notte..."
Almeno non avrebbero litigato per quello.
Le dita della mano destra sotto le coperte contavano
....2....3...4...
e poi sarebbe stata l'alba perché l'autobus era passato...
e lei glielo avrebbe detto che sarebbe stata mamma ancora una volta.

… … …

Quando l'aveva vista alla fermata aveva pensato di doverla aiutare, e invece. La signora aveva issato la valigia sull'autobus con una velocità che lui non si sarebbe mai aspettato.
Mentre schiacciava il bottone per richiudere le portiere, la guardò nello specchietto retrovisore.
Lei, che si era già seduta, ricambiò lo sguardo e sorrise.
"Buongiorno, - gli disse.
Buongiorno, -rispose lui, e riprese la corsa. E il buongiorno era uscito con un sorriso che aveva meravigliato anche lui.
Era geloso della sua solitudine mattutina.
La prima corsa del mattino era sempre solitaria e a lui, quei minuti passati da solo alla guida, servivano per cantare. Cantava le note che andava scrivendo da qualche mese, ormai. Le note che, nell'attesa che fossero perfette, faceva sentire solo al suo autobus vuoto, nella prima corsa del mattino.
La signora con la valigia, quasi subito all'inizio della corsa, era una nota nuova.
Ma non stonata.
La riguardò nello specchietto retrovisore.
Lei si sentì guardata e gli sorrise a sua volta.
"Vado all'aeroporto, gli disse...ho un volo...faccio una sorpresa a mia figlia.
Sa, lei vive a Valencia.
Ieri al telefono mi è sembrata un po' stanca.
Vado a cucinarle una parmigiana. Le piace tanto. Quando arriverò a casa sua, lei sarà a lavoro e stasera, quando rientrerà, sentirà l'odore delle melanzane ancora prima di aprire la porta."
Lui sorrise.
 "Io scrivo musica"... disse a lei e per la prima volta al mondo...E iniziò a cantare le note che andava scrivendo da qualche mese.
La signora lo ascoltava con attenzione, sapendo che anche lui le stava raccontando il suo segreto.
Si sorprese a muovere la testa su una bella e inaspettata melodia.

Una striscia di grigio nel cielo, cui il rosa dell'alba dava maggiore significato, annunciava l'inizio del giorno. Di uno qualsiasi.

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Un giorno...  di Laura Salis


Un giorno la Teresina andò ad aprire e sulla porta ci trovò i carabinieri che erano venuti a portarla via. Lei, che di carabinieri stava per sposarne uno. Lei, che li conosceva tutti perchè la caserma era proprio di fronte al bar dove serviva i caffè ogni giorno.
Pensò quasi ad uno scherzo o a qualche pratica per il matrimonio imminente, ma il capitano le si rivolse con durezza: "Signorina, quello che ha fatto è molto grave, è concorso in omicidio e occultamento di cadavere. Il bambino è stato ritrovato"
Sentì che il mondo si capovolgeva. Quale bambino? quale omicidio? quale cadavere?
Non capiva neanche di cosa le stavano parlando, talmente era lontana dall'indovinare la realtà. Poi all'improvviso sentì un clic tra i suoi pensieri, uno squarcio tra le nuvole che aveva in testa le riportò nitidamente agli occhi un'immagine.
Un giorno, di pochi giorni prima, nell'appartamentino che divideva con le altre due cameriere del bar, alzandosi al mattino presto per prendere servizio, aveva trovato la Luisa con le gambe nella vasca da bagno, che si lavava via il sangue, un fiume di sangue a dire il vero.
"E' il ciclo - dice la Luisa - ero in ritardo e adesso è arrivato molto abbondante. Oggi non vengo a lavorare, me ne sto a letto, diglielo tu al padrone"
Un giorno, di pochi giorni dopo, nel suo giorno libero, la Luisa era andata al paese come tutte le settimane e lei, la Teresina, l'aveva accompagnata alla corriera e l'aveva aiutata a portare le borse.
"Il bambino è stato ritrovato in una roggia, dentro una borsa e lei è stata vista trasportare quella borsa, signorina. Lei è complice. L'ha aiutata a partorire e a disfarsi del neonato" fu l'accusa del capitano.
Oh madonnina mia bella, aiutami tu! non lo avrei mai potuto fare, neanche sapevo che la Luisa era incinta. Sì, certo era ingrassata un po', ma mai avrei pensato... Sì, l'ho trovata in un lago di sangue, ma come potevo pensare... sì l'ho aiutata a portare la borsa, ma.... oh madonnina santa, c'era il suo bambino morto nella borsa che portavo io?
Le girava la testa, non riusciva neanche a pensare, piangeva di rabbia verso la Luisa, per quello che aveva fatto e per il guaio in cui l'aveva messa e rabbia contro se stessa, per non avere capito, interpretato, sospettato. Perchè adesso, col senno di poi, a ripensarci bene, qualche dubbio avrebbe potuto venirle, gli indizi, a metterli tutti insieme, adesso le erano evidenti. Lei lo sapeva che la Luisa aveva un amore clandestino, uno sposato. Li aveva visti una notte, tornando a casa alla fine del turno al bar, prendersi in fretta e in furia schiacciati in un angolo, nel buio del cortile. Era salita di corsa, facendo finta di non essersene accorta.
E poi era tanto che non si lamentava del ginocchio, quello che le faceva male tutti i mesi quando aveva le sue cose. E non capitava più che girasse per casa mezza nuda come prima. Si vergognava per i chili in più, diceva. E si strizzava in strati di ventriere e fasce elastiche. Per nascondere la ciccia, diceva. E ora capiva cos'era quell'odore acre e dolciastro che aleggiava nella casa negli ultimi giorni, appena camuffato da un grande spruzzar di profumo e deodorante.
"Non sapevo niente, mai mi sarei prestata, stavo dormendo. Se mi avesse chiamata glielo avrei impedito e il bambino ci sarebbe ancora"
"Signorina, lei non sta dicendo la verità" sputò aspro il capitano "non si può partorire da sole, senza farsi sentire, senza gridare. Un giorno anche lei avrà un figlio e se ne renderà conto"
La Luisa alla fine confessò, confermando che la Teresina non c'entrava niente, per carità, lei non l'aveva chiamata apposta, sapeva che non l'avrebbe mai aiutata a fare quello che voleva fare, quello che doveva fare. Lasciatela stare la Teresina, lei non sapeva, sono stata brava a nascondere e a fare tutto da sola.
Le scrisse una lettera dal carcere, la Luisa, qualche tempo dopo: un giorno forse potrai perdonarmi, scriveva. Non è a me che devi chiedere perdono Luisa, avrebbe voluto dirle, ma non le rispose mai.
Un giorno, poco più di un anno dopo, toccava a lei a partorire, alla Teresina, che aveva poi sposato il suo carabiniere, nonostante tutto. E mentre sudava e gemeva, mentre piangeva e spingeva, le vennero in mente le parole del capitano,ripensò alla Luisa a patire quegli stessi dolori da sola in un bagno e si chiese: ma come hai fatto Luisa, come hai fatto?

Poi l'ultima spinta e un giorno, quel giorno, sono nata io.


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Un giorno solo, tutti i giorni   di Laura Salis

Il respiro così flebile da non riuscire quasi ad appannare un vetro, le mani ossute abbandonate sulla coperta, la testa bianca reclinata sul cuscino, gli occhi appesantiti dal dormiveglia .
Ha vissuto a lungo, molto a lungo. Ha lasciato andare il marito, le sorelle, gli amici e tutti i coetanei. Sono stata la più forte, pensa con soddisfazione, non ho mollato la presa. Ho tenuto duro, vivere mi è sempre piaciuto.
Dal suo torpore avverte che si muove l'aria, una bella folata che gonfia le tende e le rinfresca il viso. Che bello il vento! le è sempre piaciuto il vento.
- Un giorno - dice una voce.
Gira lo sguardo a cercare chi ha parlato, ma non vede nessuno.
- Un giorno - ripete la voce - Un giorno solo. Hai la possibilità di rivivere un giorno già vissuto. Il più felice. Scegli tu quale. Ma solo uno -
Neanche ci prova ad alzare la testa per vedere chi è a farle l' offerta. Già sa, ma non ha voglia di guardarla in faccia. Preferisce darsi da fare, come al solito, non perdere tempo. Deve pensare, ricordare e scegliere.
Così torna a quel pomeriggio di primavera, primavera dentro e fuori, un subbuglio di odori, colori e desideri, con l'erba che le pungeva la schiena e il cuore che le scoppiava nel petto, una bocca che la cercava ed un abbraccio che la sollevava, una macchia di papaveri che la guardava mentre capiva e trovava il piacere di essere donna. Il piacere...le è sempre piaciuto il piacere!
Oppure la giornata di campeggio, la prima volta in vacanza con gli amici. Quel senso di libertà e allegria, come aver bevuto mille bollicine. I canti con la chitarra, la pasta scotta, un asciugamano per materasso, ammucchiati in poche tende. Continuare a parlare e ridere per non darla vinta al sonno, per non perdersi neanche un momento. Gli amici...le sono sempre piaciuti gli amici!
E la sua prima mattina di lavoro. Entusiasmo nelle vene e tremore nelle mani, una tensione nella gola che le secca le parole sulle labbra. C'è un gran silenzio mentre entra e si infila nello spazio tra lavagna e cattedra, lei che fino a ieri era dalla parte opposta, seduta tra i banchi. Gli occhi si inumidiscono quando quei trenta culetti si alzano e quelle trenta bocche sdentate recitano tutte insieme: Buongiorno, signora maestra. La scuola...le è sempre piaciuto insegnare!
E che dire del primo giorno nella sua nuova casa, con l'amore che riempiva persino gli spazi dove i mobili ancora non c'erano, il presente insieme da costruire, il futuro insieme da inventare. Il piacere di scegliere con cura le loro cose, di cucinare per gli amici, di addormentarsi guardando la tv, di dividersi i compiti in casa, di chiudere la porta e lasciare fuori il mondo. Suo marito...Le è sempre piaciuto suo marito!
Ma niente è paragonabile alla nascita dei figli, attaccarli al seno, contare le dita, accarezzarli e odorarli, restare ammirati a guardarli dormire e stringere la mano del padre, per dirsi, anche senza parlare, grazie di avermeli donati. E poi vederli crescere, imparare, giocare, divertirsi, superare gli ostacoli. I loro compleanni, il natale, le partite, i saggi, gli esami, il loro primo fidanzato, l'ultimo, fino a posare piangendo le mani sulla pancia di sua figlia e sentire il nipote muovere onde sinuose come un pesce rosso nel vaso. I figli... Le sono sempre piaciuti i figli!
E poi, sa che non dovrebbe, ma ormai è passato tanto tempo... C'è stato anche quel giorno lì ed è stato bello, non lo rinnega e non me se pente. A volte si ha bisogno di conferme. Il tempo passa, corpo e viso ne portano il segno, lo specchio lo ricorda ogni giorno. Ci si sente molto madri, molto mogli, molto cuoche, molto amiche, ma molto poco donne. Il sorriso di suo marito da un bel po' non è più ammirato come quello del nuovo collega, che le pianta gli occhi così addosso che dentro ci può vedere un groviglio di corpi su di un letto sfatto. E' passata una vita dall'ultima volta che ha fatto quel gioco, il balletto della seduzione, il tango degli sguardi, il tamburo dei cuori. Giusto il tempo di ritrovarsi, di riscoprire il suo essere femmina, di provare che poteva ancora piacere e soprattutto piacersi. Non l'ha mai saputo nessuno, non ha fatto male a nessuno, ma ha fatto bene a se stessa. E' bello sentirsi bella. Le è sempre piaciuto sentirsi bella.
E le vacanze al mare, i pic nic in campagna, il ritorno a casa dei figli, le riunioni di famiglia, le grandi tavolate, gli abbracci ricevuti, le lettere d'amore, i sorrisi della gente, le gentilezze inaspettate, la musica, i libri, la cioccolata, il gatto sulle ginocchia, il profumo della pioggia, uno sguardo d'intesa, una doccia calda, una pesca succosa, un petto forte a cui appoggiarsi, ritrovare un'amico, il caffè del mattino, un pianto di commozione, un grazie sentito, l'odore del bucato, un tuffo in piscina.
Quante volte sono stata felice! pensa. Mi è sempre piaciuto essere felice!
Non so, non so scegliere, ho vissuto tanto, sono stata fortunata, ho avuto molti bei giorni, vorrei riviverli tutti.
- Lo hai appena fatto - le dice la voce
Chiude gli occhi e sorride. Muore sorridendo, così come era sempre vissuta.

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Per gentile concessione delle autrici Alessandra Romano e Laura Salis. Racconti tratti dalla rivista online Il cappello volante.